Danni da amianto

Le fibre di amianto, se inalate od ingerite, sono dannose per la salute umana.

L’Avvocato presta consulenza in materia di danni provocati da amianto, sia patrimoniali che non patrimoniali.

Le fibre di amianto possono provocare diverse patologie gravi, tra le quali, principalmente, l'asbestosi (una fibrosi estensiva non tumorale del polmone), il carcinoma (tumore del polmone) ed il mesotelioma (tumore del mesotelio). Tali patologie possono manifestarsi anche da 10 fino a 40 anni dopo l’esposizione all’amianto. I danni da amianto, sia patrimoniali (spese sostenute) che non patrimoniali (danno biologico, morale ed esistenziale), sono risarcibili. L’avvocato Micheloni, con Studio situato a Verona, previa perizia medico-legale che attesti la connessione tra l’esposizione all'amianto e la patologia del caso, è in grado di prestare assistenza legale al danneggiato o, in caso di morte, alla sua famiglia, per ottenere un risarcimento.

L’INAIL indennizza con una rendita mensile il danno patrimoniale per diminuite capacità di lavoro, nonché quello biologico nel caso in cui il grado invalidante raggiunga il 16%. Nel caso in cui il grado invalidante non raggiunga questa soglia, l’INAIL indennizza il solo danno biologico, con quantificazione che non tiene conto dell’integralità della lesione, mentre nessuna prestazione viene erogata laddove il grado di invalidità non raggiunga la soglia minima del 6%. In caso di decesso provocato dalla malattia professionale, il coniuge ha diritto alla rendita in reversibilità nella misura del 50%.

Il pregiudizio non patrimoniale non può essere confinato però alla sola prospettiva indennitaria, di per sé estranea alle direttive costituzionali del ristoro integrale e personalizzato del pregiudizio alla persona nella sua complessiva proiezione esistenziale. Sono perciò fondate le domande di risarcimento del maggior danno, anche biologico, subìto dalla vittima, oltre che dai familiari; deve pertanto essere calcolato l’ulteriore importo dovuto a titolo di integrale risarcimento dei danni. Il lavoratore malato - o gli eredi di quello deceduto - ha diritto al totale risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti in conseguenza della malattia causata dall'esposizione all'amianto.

I pregiudizi non patrimoniali non consistono nella sola lesione biologica e psico-biologica (art. 32 Cost.), ma travolgono la persona intera, con sofferenze interiori e lesioni alla personalità e alla dignità morale (artt. 2 e 3 della Costituzione) che integrano il c.d. danno morale e alla vita familiare e sociale, che riguarda anche i familiari (artt. 29, 30 e 31 della Costituzione), in quanto in più occasioni loro stessi sono stati esposti e hanno un concreto rischio di ammalarsi. Il termine per agire contro il datore di lavoro presso il quale il soggetto è stato esposto all’amianto è di dieci anni dal momento in cui il danneggiato abbia preso coscienza del nesso esistente tra la malattia e l’esposizione all’amianto. In pratica, essendo le patologie causate dall’amianto “lungolatenti”, si agisce oggi in virtù dell’esposizione pericolosa verificatasi anche diversi decenni fa.

Le sentenze pronunciate negli ultimi anni presentano un pensiero condiviso, divenuto ormai regola, in punto di accertamento dell’esistenza del nesso tra la malattia o il decesso del lavoratore e l’esposizione alle fibre di amianto: non si richiede più una ragionevole certezza della causalità, tipicamente penale, tra patologia ed esposizione professionale all'amianto, ma è sufficiente dimostrare l’esistenza di un qualificato grado di probabilità che ricolleghi la malattia all’attività lavorativa svolta in condizioni a rischio, per ottenere un risarcimento.

Sia il lavoratore che ha contratto la patologia, sia i suoi famigliari hanno dunque diritto al risarcimento del «danno biologico (cioè la lesione della salute), morale (cioè la sofferenza interiore) e dinamico-relazionale (altrimenti definibile esistenziale, consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia leso i diritti fondamentali della persona), che costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili» (Corte di Cassazione, III Sez. Civile, n. 4033 del 19.02.2013).

La prova dell’entità del danno può essere anche presuntiva e si può raggiungere anche attraverso l’utilizzo del potere di indagine del consulente tecnico di ufficio (Cass. 16471/09; 21728/06 e 1901/2010 ed ex multis), per cui rilevano:

  • Lo sconvolgimento che i fatti lesivi provocano nella vittima primaria e nei familiari;
  • La tipologia ed entità degli stati, temporanei e permanenti, di invalidità riportati dal danneggiato, parametri dai quali già di per sé si può dedurre il livello “minimo presuntivo” di incidenza delle lesioni sul piano della “sfera morale” del danneggiato;
  • Dell’età e del sesso della vittima;
  • L’attività lavorativa o gli hobby svolti dal danneggiato;
  • L’essere la vittima stata oggetto di un’ingiusta lesione della propria persona e della propria dignità umana;
  • I disagi ed i fastidi patiti in relazione allo svolgimento delle attività quotidiane;
  • La necessità di affrontare operazioni chirurgiche riparatrici, esami invasivi o terapie riabilitative;
  • Le perdite di tempo e le frustrazioni incorse in visite mediche, sedute riabilitative, accertamenti medico-legali, sessioni con i propri avvocati;
  • Dell’essersi trovato costretto ad affrontare dapprima un iter stragiudiziale e poi giudiziale, con tutti i relativi stress.

I danni subiti dal lavoratore in caso di decesso e per il decesso debbono essere liquidati ai suoi eredi. I familiari e coloro che avevano con la vittima un significativo rapporto hanno diritto al risarcimento integrale dei danni che direttamente hanno subìto.


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